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L’esposizione prenatale agli oppioidi va identificata il prima possibile

I neonati esposti agli oppioidi in età prenatale andrebbero identificati il prima possibile. Ciò permette infatti di prevenire almeno parte dei problemi in cui si imbatteranno, fornendo loro cure migliori. È quanto dicono i ricercatori della Marshall University, in collaborazione con il Marshall Health, il Cabell Huntington Hospital e il Centers for Disease Control and Prevention.

I ricercatori si sono concentrati sugli effetti combinati di oppioidi e gabapentin. Quest’ultimo è un farmaco usato per alleviare i dolori causati dai nervi e l’epilessia. Lo si usa anche per trattare la dipendenza da oppioidi, ma tante persone lo usano in modo poco consono. Ciò si verifica anche tra le donne in gravidanza, con tutto ciò che ne consegue per i bambini.

I bambini esposti in fase prenatale agli oppioidi manifestano spesso vere e proprie crisi d’astinenza. Le due sostanze rendono però i sintomi atipici: movimenti incontrollati degli occhi; scatti in braccia e gambe; spinte linguali; contrazioni involontari dei muscoli. Tutto questo rende molto più difficile individuare il problema in tempo e, di conseguenza, trattarlo fin da subito nei modi necessari. I ricercatori hanno quindi analizzato i benefici di uno screening tossicologico totale.

I questionari compilati dalle madri sono quasi sempre parziali. I test neonatali standard, invece, si concentrano solo su certe sostanze e trascurano tutte le altre. In queste condizioni, possono passare fino a 20 giorni prima dell’inizio dei trattamenti, che comprendono un’ospedalizzazione di 58 giorni in media. Con lo screening tossicologico totale, invece, ne passano solo 14 e i neonati rimangono in ospedale circa 48 giorni.

Fonte: jcesom.marshall.edu

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